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ISF, l'equilibrio sta nella prevenzione: il progetto

Creare giocatori universali significa anche creare giocatori che sono meno soggetti ad avere problemi muscolari. Ecco perché la Federazione Italiana Tennis e Padel e l'Istituto Superiore di Formazione Roberto Lombardi hanno creato un progetto che va proprio in questa direzione, dove medici e preparatori sono fondamentali

20 maggio 2023

Victoria Azarenka abbraccia Daria Kasatkina dopo il suo infortunio (foto Adelchi Fioriti)

Victoria Azarenka abbraccia Daria Kasatkina dopo il suo infortunio (foto Adelchi Fioriti)

Creare giocatori universali significa anche creare giocatori che sono meno soggetti ad avere problemi muscolari. Creare giocatori più equilibrati e dunque più forti nel loro complesso, non solo sotto il profilo tecnico, ma anche sotto quello fisico. Ecco perché la Federazione Italiana Tennis e Padel (di cui Emilio Sodano è responsabile della commissione medico sportiva) e l'Istituto Superiore di Formazione Roberto Lombardi hanno creato un progetto che va proprio in questa direzione: puntare l'attenzione sull'aspetto della crescita dei giovani, mettendo loro a disposizione una squadra che abbia cura di tutto il processo di formazione, fin dalla più tenera età e arrivando all'approccio col professionismo. Perché in fondo gli infortuni non sono quasi mai eventi sfortunati e totalmente imprevedibili, bensì delle spie che indicano la necessità di qualche cambiamento nella preparazione.

“Nell'ambito del Settore tecnico periferico – spiega il direttore dell'ISF Michelangelo Dell'Edera – l'Istituto sta implementando un nuovo progetto che studia la prevenzione degli infortuni più frequenti che toccano i ragazzi di interesse nazionale, usufruendo del supporto e della consulenza dei medici sportivi a livello regionale. Pertanto, tutte le attività che verranno messe in pista da quest'estate vedranno la presenza di un medico e così pure di un fisioterapista. Che non deve essere visto come colui che interviene per accelerare il recupero, ma come un professionista che deve lavorare insieme al medico e al preparatore per prevenire gli infortuni”.

Michelangelo Dell'Edera e Filippo Volandri

Lo studio durato quasi tre lustri ha portato ad avere una serie di dati importanti sui quali lavorare. “In questi 13 anni – prosegue Dell'Edera – per diminuire la percentuale di infortuni, eccessivamente alta in rapporto al numero dei bambini impegnati a livello nazionale e internazionale, abbiamo fatto un grande lavoro sulla scelta degli attrezzi, quindi su telaio e corde. Sappiamo, per esempio, che usare un telaio simile a quello dei grandi giocatori, con gli stessi bilanciamenti, se può dare un rendimento prestativo superiore, dà anche sollecitazioni eccessive, sovraccaricando le articolazioni: polso, gomito, spalla, colonna. Attenzione anche alle corde, che sono un po' come le gomme nella macchina di Formula 1: il loro grip consente di avere performance importanti e stiamo consigliando di usare non il monofilamento bensì il multifilamento, quindi una corda più elastica, che solleciti meno le articolazioni del braccio”. 

Determinante anche il lavoro per una corretta didattica, soprattutto dagli 8 ai 14-15 anni. “Quando – sottolinea il direttore dell'ISF – andiamo a strutturare il movimento volontario. Che deve essere ricco ma non eccessivamente ripetuto, perché continuare con la stessa gestualità tecnica porta a sovraccaricare le articolazioni. Avere proposte didattiche diverse avvicina inoltre i ragazzi al concetto dello sport di situazione. Quindi ripetizioni sì, ma non in numero tale da provocare problemi con gli infortuni. Allo stesso modo, diciamo di stare attenti dopo i 15-16 anni nelle eventuali correzioni del gesto, perché cambiare un movimento già automatizzato può portare a degli scompensi: muscoli agonisti che diventano antagonisti o viceversa. Bisogna fare uno studio scientifico insieme al medico sportivo e al preparatore, tale da capire se quella correzione andrà portata avanti o meno”.

I dettagli sono fondamentali, dunque, e allo stesso modo è cruciale la scelta di dove e quanto giocare. “In questi 13 anni abbiamo lavorato anche su una corretta periodizzazione dell'attività competitiva, andando a strutturare una quotidianità virtuosa. Giocare sempre su una stessa superficie, per esempio, è pericoloso: che sia sempre sul duro o sempre sulla terra. Variare, invece, è utile per tante ragioni. Pensiamo che la terra sollecita gli infortuni a carico degli arti superiori, il duro a carico degli arti inferiori. Inoltre, all'interno dei cicli di lavoro, un altro aspetto importante è legato al recupero: avere tempi di recupero corretti tra gli allenamenti, e così pure tra i vari tornei, è assolutamente essenziale”.

La formazione di un atleta di vertice comincia dunque in tenera età e passa attraverso una visione della persona a 360 gradi. “L'obiettivo è creare giocatori universali, con una formazione completa in campo e fuori. Un sondaggio sugli infortuni che capitano agli Under 18 – che ha visto uno studio differenziato tra uomini e donne e nelle diverse tipologie di infortuni – ha portato alla conclusione che è necessario avere un controllo sistematico anche a livello periferico. Tra uomini e donne, inoltre, va tenuto presente che ci sono differenze sostanziali: c'è soprattutto una diversa forza naturale (che varia del 25-30 per cento), dato che crea azioni e gestualità diverse, quindi anche sollecitazioni diverse. Per questo le differenze vanno tenute in considerazione”.

L'atleta perfetto – come insegna il tennis di vertice – non esiste. “Dobbiamo però – chiude Dell'Edera – cercare di ottimizzare le performance andando a intervenire nelle varie aree per mettere l'atleta nelle condizioni di essere al top delle sue possibilità. Oggi, anche negli atleti di vertice, una sistematicità nel fare mobilità articolare, stretching, routine che possono fare prevenzione, è fondamentale. Tutto questo si può mettere in pratica se fin dal principio ci si avvale di un concetto di squadra di grande qualità. Il team deve essere composto dal medico sportivo, insieme al preparatore fisico, al fisioterapista, al nutrizionista, all'incordatore, al mental coach: sono queste figure a studiare le tematiche che il tecnico deve gestire per mettere il suo giocatore nelle condizioni di avere una vita sportiva più sana e più lunga possibile”.

Juan Martin Del Potro, argentino classe 1988, ha avuto la carriera falcidiata da brutti e continui infortuni

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