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Prima si premiavano i risultati, adesso le abilità. “In questi 11 anni abbiamo lavorato per cambiare paradigma. Anche nel tennis si passa dalle elementari alle medie e dal liceo all’università”. Le 4 fasi - mini-tennis, perfezionamento, specializzazione e alto livello - funzionali alla crescita di lungo periodo
20 giugno 2021
La tempesta perfetta non è un temporale qualunque. Non si palesa da un giorno all'altro, così per caso. E’ il frutto semmai di un duro e lungo lavoro che può durare anche un decennio. O pure di più, come nel caso di quello che è stato messo in atto dalla Federazione Italiana Tennis e dal suo Istituto Superiore di Formazione Roberto Lombardi. Un lavoro mirato a rivoluzionare completamente il 'piano di studi' che permette agli aspiranti insegnanti di tennis italiani di formarsi, certificarsi e ottenere la qualifica. Con enormi ripercussioni sugli allievi.
Parliamo di didattica, insomma, il processo di insegnamento e di apprendimento del gioco del tennis che in Italia è profondamente cambiato nel corso dell’ultimo decennio. Tanti, i cambiamenti, che non basta certo un articolo per elencarli tutti, né per scendere nel dettaglio e nello specifico.
E allora vediamo di che cosa si tratta, che cos’è quel processo che ha portato a ribaltare completamente la concezione e la filosofia che - in fin dei conti - sta dietro anche alla più classica delle lezioni di tennis. Evidenzieremo questo aspetto specifico in un prossimo articolo, facendo l’anatomia della lezione 3.0 (ne scopriremo delle belle), ma intanto è doveroso fare un’introduzione complessiva.
“A noi piace parlare di fasi didattiche - introduce l’argomento Michelangelo Dell’Edera, direttore dell’ISF - perché il processo di acquisizione di competenze e di abilità nell’essere umano non si ferma mai”. Non si smette mai d’imparare, dice l’adagio popolare, e Dell’Edera conferma. “Nella vita è proprio così e perché mai non dovrebbe esserlo anche nel tennis? C’è un processo d’apprendimento per chi vuole diventare un insegnante di tennis, che va da istruttore a tecnico nazionale passando per vari gradi, e allo stesso modo c’è un processo per chi vuole diventare un tennista”.
Le fasi didattiche non sono diverse dal percorso scolastico di ognuno: “Potremmo dire, semplificando un po’, che queste fasi stanno all’allievo tennista come le varie classi stanno a un bambino che va a scuola. In principio abbiamo il minitennis, le scuole elementari; successivamente si passa alla medie, la fase di perfezionamento. Poi, chi vuole proseguire passa per il liceo, la specializzazione, e infine frequenta l’università, vale a dire l’alto livello”.
Eccole elencate, le quattro fasi didattiche su cui l’Italia ha ricostruito il suo sistema-paese con racchetta. “Si tratta del processo che regola le varie fasi di crescita, praticamente dai cinque anni e potenzialmente fino ai 40”. In ogni singola fase si sviluppa un aspetto specifico, obiettivo primario del processo di crescita. “Per quanto riguarda il mini-tennis, ciò che ricerchiamo è, attraverso l’utilizzo di tecniche e attrezzatura adatta alla fascia d’età, lo sviluppo delle abilità coordinative”.
Tassello fondamentale dal quale partire: “Poi bisogna concentrarsi sull’apprendimento dei movimenti volontari, ma solo quando si è un po’ più grandicelli: e questo è lo scopo della fase di perfezionamento. Nella terza fase, quella della specializzazione, è già l’ora di concentrarsi sugli automatismi, perché il tennis di alto livello richiede prontezza e velocità. Se un gesto è ‘automatico’, allora è veloce; se richiede troppo impegno cognitiva diventa lento”.
Infine, nella fase didattica dell’alto livello, si mira a costruire, implementare e migliorare la performance. Se qualcuno non l’avesse notato, nella performance è contemplato il “risultato”, il che significa che la ricerca della vittoria, da privilegiare alla sconfitta, diventa di primaria importanza soltanto in questa ultima fase didattica, quella conclusiva del percorso.
“Qui è stata la vera rivoluzione - spiega Dell’Edera -: una volta si premiava la vittoria, subito, fin dalla più tenera età. Adesso no, perché per vincere da ragazzini basta non sbagliare. Invece per vincere da grandi devi aver imparato a fare un sacco di cose quando eri piccolo”.
Vincere è l’unica cosa che conta, diceva Boniperti (recentemente scomparso). Ma lo è quando conta vincere, non prima. “La vittoria inseguita a ogni costo in tenera età - rincara la dose Dell’Edera - non è funzionale al processo di lungo termine, se ricercata a tutti i costi e in modo non corretto. Per noi dell’Istituto questo è sempre stato un valore fondante, tanto che anche il Settore Tecnico under ha cambiato strategia negli anni: supporto e contributi prima andavano a chi vinceva, adesso invece vanno a chi dimostra di avere le abilità”.
Abilità squisitamente multilaterali: “Perché non c’è solo un’area di abilità nello sport, e nel tennis a maggior ragione. Bisogna essere abili a livello tecnico, ma anche a livello tattico, fisico e mentale”. Quando andremo ad analizzare la lezione di tennis 3.0, quella che vive di un approccio moderno, scopriremo anche in quale ordine questi debbono entrare in gioco.
Per il momento il concetto chiave è che ciò che viene valutato non è il risultato ma l’abilità. “Ecco perché se in passato i tecnici federali andavano a monitorare l’attività dei ragazzini dai quarti di finale o dalle semifinali di un torneo in poi, oggi lo fanno dal primo giorno delle qualificazioni. Perché può esserci un ragazzino interessante, con molte abilità da sviluppare, che oggi perde per i più disparati motivi. Ma noi dobbiamo avere un quadro completo, generale della situazione”. Solo così la didattica si traduce in obiettivi - di lungo termine - da raggiungere. E l'Italia del tennis li sta raggiungendo alla grande.