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Ora Giustino ha due obiettivi: top-100 e... Player Council

Il 27enne napoletano vive la sua miglior stagione nel tour grazie anche a un team misto italo-spagnolo: “Ho sempre lavorato tanto, ma serve pazienza per eliminare gli errori e migliorare. Nel tennis i soldi andrebbero distribuiti in modo più corretto, per questo ho accettato di candidarmi”

08 agosto 2019

Un rovescio di Lorenzo Giustino a Manerbio

Un rovescio di Lorenzo Giustino a Manerbio

Ha avuto ventiquattro ore in più di tempo Lorenzo Giustino per sbollire la tensione accumulata nel match d’esordio, quando al secondo turno del Challenger di Manerbio - Trofeo Dimmidisì (46.600 euro, terra) aveva superato 6-3 al terzo l’uruguaiano Martin Cuevas, con cui a un certo punto ha avuto pure una discussione. Causa la pioggia che ha messo i bastoni fra le ruote agli organizzatori della Bassa Bresciana, il 27enne napoletano, numero 130 Atp e secondo favorito del tabellone, è tornato in campo solo oggi con la prospettiva (auspicabile) di un doppio turno. La stagione in corso sta regalando non poche soddisfazioni a Giustino, accompagnato a Manerbio da coach Gianluca Carbone.

“Ho sempre lavorato tanto, non mi sono mai tirato indietro, ma lavorare duro non significa arrivare per forza. Ci deve esser qualcuno che ti dica su cosa devi migliorare, e devi trovare la persona giusta – sottolinea Lorenzo - Può anche capitare di spendere molti soldi per un allenatore che non ti dica nulla di importante. Molti allenatori non hanno il coraggio di cambiare alcuni dettagli tecnici perché non vogliono assumersi il rischio. Personalmente mi piace essere consapevole di quello che faccio: con Gianluca e il team spagnolo ho migliorato step by step, eliminando i tanti piccoli errori che non mi facevano completare il mosaico. La cosa importante è eliminare gli errori, ancor prima che fare cose nuove. Anche quando viaggio da solo, mi segno su un libricino tutte le imprecisioni e poi ne parlo con i miei allenatori. Sono dell’idea che le cose si fanno con pazienza, la soluzione non è sempre dietro l'angolo. Non è detto che neanche un coach bravo come Gianluca trovi subito la soluzione. Io ne sono consapevole, utilizziamo tanti strumenti come la video-analisi e alla fine arrivano i risultati”.

Base in Spagna, testa in Italia

E’ un caso particolare, quello del campano, capace di compiere un salto di qualità notevole grazie ad uno staff “multiplo”. “Da qualche anno vivo a Barcellona con la mia ragazza. Dopo anni nell'accademia Bruguera, ho iniziato a lavorare in quella di Pere Riba e il coach che mi segue è Eduardo Lopez, ma continuo a collaborare con Gianluca Carbone. Non potendomi trasferire, ma volendo proseguire con lui, abbiamo trovato questa buona soluzione: di base sto in Spagna, poi lui mi segue per un determinato numero di settimane”. In Spagna c'è una mentalità particolare: i coach non pensano che il giocatore sia “di proprietà”, ma amano lavorare in gruppo. “Carbone e Lopez si sentono spesso e sono fortunato ad aver un coach come Gianluca, dalla mentalità all'avanguardia. È un tecnico capace, intelligente, sa cosa offrire e ha compreso le difficoltà logistiche. Ne abbiamo preso atto e trovato la soluzione”, sottolinea Giustino che nel momento migliore della carriera ha messo nel mirino l'agognato traguardo dei primi 100 del mondo.

Troppa differenza fra Atp Tour e Challenger

Il fatidico muro che costituisce una svolta nella vita di un tennista, anche e soprattutto in prospettiva futura. “Non è tanto una questione di ranking: puoi essere anche numero 120 Atp, ma se hai giocato gli Slam e nel circuito maggiore sei a posto. Se giochi soltanto i Challenger non vedi un euro. Nel tennis si è creata un'idea secondo cui vali solo se sei top-100, altrimenti sei negato. Non mi piace: sono convinto che se i giocatori da Challenger avessero ogni settimana una wild card per i tornei Atp, vincerebbero tranquillamente le loro partite”.

“Il prodotto tennis non funziona bene”

Ecco perché Lorenzo è così attento alle vicende sindacali del suo sport e, a fronte di una specifica richiesta in tal senso, ha accettato di candidarsi per il Player Council ATP che sta vivendo un periodo di transizione, con l'uscita di scena di alcuni elementi. “Sulla distribuzione del denaro mi capita spesso di parlare con i tour manager ATP. Dicono che l'ATP è un'azienda che vuole aumentare il proprio valore, e sostengono sia complicato dare più soldi ai Challenger se non producono. Il problema è che loro sono i primi a creare una barriera tra ATP Tour e ATP Challenger Tour. Dovrebbe esserci una comunicazione più omogenea: non è possibile che la pagina Instagram dell'ATP abbia un milione e mezzo di followers, mentre quella dei Challenger appena 237. A mio avviso il prodotto tennis non funziona bene: si danno troppi soldi a pochissimi giocatori, mentre gli altri muoiono di fame. Prendi gli Slam: messi insieme, fanno quasi lo stesso numero di spettatori della Champions League... non è possibile che i giocatori siano poveri. Un'altra cosa che mi fa arrabbiare è la pubblicazione dei nostri prize money: viene mostrata la cifra lorda, che non corrisponde in nessun modo al vero, tra tasse e spese vive rischi di andare in passivo. Quando ero piccolo, mio padre ha investito 100.000 euro per me. A un certo punto sono finiti e mi ha detto: 'Se vuoi giocare a tennis, devi andare a lavorare'. E così è stato”.

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