
Chiudi
Il 31enne lombardo tira le somme della stagione: “Peccato lo stop forzato proprio quando stavo esprimendo il mio miglior tennis. Con coach Francesco Aldi lavoriamo per un maggior equilibrio di rendimento e condizione fisica”
di Gianluca Strocchi | 02 dicembre 2020
Si è buttato a capofitto nella preparazione invernale, già da una settimana, per farsi trovare il più possibile pronto agli importanti appuntamenti che tradizionalmente aprono la stagione del tennis, a gennaio. Il fatto è, però, che Roberto Marcora come del resto gli altri professionisti della racchetta non conosce ancora le date degli Australian Open né quali altri tornei prevede la fase iniziale del calendario del Tour.
“Siamo in febbrile attesa di avere qualche notizia ufficiale, a cominciare dalla collocazione temporale e se si disputeranno o meno le qualificazioni del primo Slam dell’anno, a Melbourne o da qualche altra parte, secondo le ipotesi che circolano negli ultimi giorni – conferma il 31enne di Busto Arsizio – E’ una situazione alquanto singolare, in passato a metà novembre avevamo già prenotato aerei e hotel per l’Australia. Ma del resto è qualcosa di inedito la pandemia che ha sconvolto le nostre vite nel 2020, che finalmente stiamo per lasciarci alle spalle. Lo dico perché a livello generale un anno peggiore di questo, con il suo carico di vittime e persone sofferenti, credo sia impossibile. Ora conosciamo un po’ meglio il virus e come contrastarlo e anche nel nostro ambito pare che le cosiddette ‘bolle’ abbiano funzionato: a parte qualche caso isolato di positività, nei tornei dove sono state attuate le misure di prevenzione non ci sono stati tanti contagi o focolai, a differenza di quanto accaduto in altri sport”.
Sul piano tennistico, comunque, numeri alla mano, quella 2020 è stata la miglior stagione della carriera del giocatore lombardo.
“Personalmente lo definisco un anno dolce-amaro – il giudizio di Marcora -. Sono partito alla grande con i quarti nel challenger di Noumea e avevo buone sensazioni anche nelle qualificazioni a Melbourne, confermate poi dal risultato ottenuto a Pune in febbraio, dove ho raggiunto i quarti di finale per la prima volta in un torneo ATP partendo dalle qualificazioni. La settimana seguente grazie alla finale nel challenger di Cherbourg ho raccolto altri punti, così da ottenere il mio best ranking al numero 150 della classifica mondiale. Ero davvero lanciato e in un momento di grande fiducia, peccato che lo stop dell’attività internazionale sia arrivato proprio quando stavo giocando il mio miglior tennis. Mi sentivo quasi in uno stato di grazia, quello che nel nostro sport deriva dalle vittorie in serie che ti danno convinzione e autostima, e pronto a proseguire la scalata...”.
Invece la sosta forzata ha raffreddato il bustocco, complice anche la difficoltà a trovare motivazioni forti nei mesi del lockdown.
“Per carattere sono un agonista che ha bisogno dell’adrenalina della sfida. Però in quel periodo in cui non si sapeva cosa sarebbe accaduto non avevo chiaro l’obiettivo per cui allenarmi con intensità – riconosce Roberto -, per questo alla ripresa del circuito ad agosto ho faticato terribilmente: quattro sconfitte al primo turno e una condizione fisica non ottimale. Poi mi sono stirato alla coscia della gamba sinistra nel secondo turno delle qualificazioni degli Internazionali d’Italia a Roma, ho comunque provato a giocare le qualificazioni al Roland Garros, riuscendo persino a vincere due partite ma per il riacutizzarsi dell’infortunio muscolare sono stato costretto al forfait nel terzo e decisivo turno. E’ stata una grande delusione, perché ci tenevo moltissimo a centrare la prima apparizione nel tabellone principale di uno Slam. Quindi ho chiuso la stagione con i tornei indoor, giocando benino, ma senza acuti. E così nella classifica di fine anno adesso mi ritrovo al numero 180, curiosamente lo stesso di dodici mesi fa, come se non avessi compiuto alcun progresso, ma questo è determinato dalle classifiche congelate decise dall’ATP. In verità, guardando la Race 2020, sarei stato al 126esimo posto”.
Come a dire che una buona dose di positività c’è nella testa del tennista lombardo e della sua squadra.
“Se dovessi indicare un momento top sono sicuramente i primi quarti nel circuito maggiore a Pune, dopo aver eliminato anche Paire, tuttavia se ci riferiamo al livello di gioco sono stato orgoglioso della finale raggiunta a Cherbourg subito dopo. In passato, spesso, dopo un risultato importante ho accusato cali di tensione, stavolta invece è stato bravo il mio allenatore Francesco Aldi a tenermi sul pezzo in termini di concentrazione e intensità di rendimento. Del resto, stiamo lavorando per fare in modo che certi picchi di prestazione non rimangano isolati”.
La continuità è insomma la ricetta per puntare a nuovi, ambiziosi, traguardi.
“Sia come rendimento che sul piano fisico, perché un paio di problemi fisici all’anno finiscono poi per farti perdere diverse settimane preziose. Stiamo svolgendo la preparazione off season a Roma, dove si è trasferito da Palermo il mio coach mettendo su famiglia: sinceramente spero che non siano troppe le settimane di lavoro prima di poter competere sul cemento, una superficie su cui mi sento a mio agio. Dal punto di vista tecnico sono convinto di avere ancora margini sul servizio, per fare ancora più male con questo colpo, più in termini di precisione che di potenza visto che qualche anno fa mi sono operato alla spalla. Inoltre sto tentando di verticalizzare maggiormente il mio gioco, andando a prendermi punti in avanti e a rete. Obiettivi per il 2021? Prima di tutto migliorare il best ranking e avvicinarmi il più possibile alla Top 100, per poi provare ad entrarci magari l’anno seguente”.
Gli esempi, anche ravvicinati, non mancano, alla luce della crescita esponenziale dell’Italtennis al maschile. “E’ bello vedere che siamo in tanti nei piani alti della classifica mondiale e questo porta anche una sana competizione tra di noi, che stimola ulteriormente a migliorarsi. Ed è una soddisfazione sentire i colleghi stranieri dire sbuffando ‘quanti italiani ci sono in tabellone’, a indicare che ci temono. Poi quando si è in giro per il mondo, si tende a frequentarsi sempre fra connazionali e si rinsaldano i rapporti, per cui è piacevole ora non trovarsi quasi mai da solo in un torneo – conclude Marcora – e poter condividere queste esperienze e i momenti fuori dal campo, lontano da casa”.