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Il tennis è individuale solo in campo, altrimenti è … di tutti!

I team sono sempre più allargati e viaggianti, torneo dopo torneo, gli allenamenti sono sempre più di gruppo: Massimo Sartori ci aiuta a capire perché

di | 04 gennaio 2021

Massimo Sartori

Il tennis rimane sport individuale per eccellenza, al di là dei tentativi del coach in campo e/o in collegamento live dalla tribuna per le pruriginose curiosità di mamma tv. Sul rettangolo di gioco, l’atleta è solo, contro l’avversario e contro se stesso. Anche se, dagli spalti, il clan gli fa un cenno a ogni colpo e lo sostiene, lo conforta, lo incita continuamente. Anche se una miriade sempre maggior di persone, fra tecnici, manager, parenti e amici, lo scorta prima e dopo l’ingresso nell’arena della partita. E anche se, sempre di più, lui stesso si sottrate sempre meno all’assembramento anche di colleghi, a pranzo e cena, negli allenamenti, nel pre e nel dopo-gara, e anche nella preparazione invernale.

Evidenziando sempre più questa singolarità del tennista, sempre più accompagnato ad esclusione dell’unico, ancor più delicato, momento della tenzone. Perché si verifica questo evento e da quando, considerato che fino agli 80 i protagonisti erano esclusi dalle comunicazioni di massa del cosiddetto spogliatoio ed esisteva invece una sorta di spionaggio sulle informazioni dei singoli, che venivano limitate alla conoscenza diretta di tizio e caio nelle precedenti prova contro i vari avversari? 

Ion Tiriac, furbissimo ex giocatore romeno, poi manager di star di prima grandezza come Guillermo Vilas e Boris Becker, era gelosissimo dei segreti dei puledri della scuderia. E tutti i coach nascondevano attentamente i clienti negli allenamenti, evitando qualsiasi scambio di informazione, inviando poi una selva di osservatori ai vari match degli avversari, finché non sono comparsi anche i primi video-operatori che si nascondevano fra il pubblico.

Secondo Massimo Sartori, che ha portato Andreas Seppi al numero 18 del mondo, ha scoperto ed accompagnato Jannik Sinner alla corte di Riccardo Piatti, e sta rilanciando Marco Cecchinato nel progetto Horizon di Vicenza, questo passaggio epocale nasce dalla maggiore conoscenza dei tecnici. 

“Una ventina d’anni fa, quando ho cominciato a girare per i tornei, eravamo davvero in pochi ad avere le conoscenze necessarie sul campo. Molti possedevano la teoria, ma non la pratica", racconta.

"Io ho imparato da Riccardo Piatti, e poi dalle esperienze che ho fatto grazie alla Fit portando nei tornei giovanili Seppi e quindi in nazionale, confrontandomi con Corrado Barazzutti e la struttura di Davis. Ottenendo così la conferma di tutte le conoscenze che mi erano state trasferite da Riccardo”.

Uno dei segreti del Rinascimento del tennis italiano maschile, delle cinque punte, Fognini, Berrettini, Sonego, Sinner e Musetti, e dei tanti giocatori dell’età media e poi più giovani che premono per guadagnarsi un posto al sole, sta proprio nella qualità dei loro tecnici e in generale dei tecnici italiani - come confermano le tante diverse realtà che brillano in più regioni diverse -, e quindi dalla migliore conoscenza e competenza.

“Salendo di livello, con tanti giocatori che abbiamo adesso fra i primi 100, è aumentata anche la possibilità di viaggiare nei tornei e di scambiarci informazioni. E anche consigli. Come è successo e succede fra me e Santopadre, per esempio. Ci aiutiamo l’un l’altro. Perché, insieme alla qualità e alla quantità di tecnici, che sanno sempre più che cos’è questo nostro lavoro, è cresciuta anche la disponibilità al dialogo, allo scambio di informazione, per continuare questo processo di crescita dei giocatori e degli allenatori”. 

Marco Cecchinato con Massimo Sartori

Così, dopo vent’anni di tennis italiano in negativo, praticamente dalla famosa coppa Davis del 1976, con pochi e sporadici sprazzi, oggi il tennis italiano non è soltanto positivo, ma è proprio bello, perché è sinonimo di conoscenza di altissimo livello.

“L’evoluzione sono gli ex giocatori che diventano coach, come Santopadre e Vagnozzi, che hanno un bagaglio ancora superiore e più precoce rispetto al mio. Stare insieme, fronteggiando ed affrontando sul campo, in giro per il mondo e poi di nuovo fra noi, in allenamento, le stesse problematiche, ci ha aiutati tutti a confrontarci e a crescere. Cosa che purtroppo non è successa al femminile, perché le ragazze più forti si allenavano all’estero. Per cui, non c’è stata scuola di tecnici specifici e oggi non abbiamo a disposizione lo stesso materiale umano su cui lavorare che esiste invece al maschile”.

Da questo, con l’aggiunta dell’alta specializzazione raggiunta in generale dal tennis mondiale in ogni aspetto, dalla preparazione atletica alla psicologia, dalla nutrizione alla tecnica, dalle statistiche alle video-analisi, si arriva agli stage allargati dei protagonisti più noti dell’ATP Tour. Anche loro costretti dalla necessità di tenersi al passo coi tempi a rimanere agganciati alla realtà in continua evoluzione, sul campo, delle varie Academy.

Ecco perché i social media regalano continuamente immagini dei professionisti che si allenano sempre di più fra loro, alternandosi giorno dopo giorno, in continue simulazioni dei match, senza tema di lasciarsi sfuggire  segreti che possano essere poi diventare debolezze una volta trasferiti sul circuito. Non c’è alternativa: il web è di tutti, così come le conoscenze. Del resto, la partita si decide molto “di testa”, un po’ anche di fisico, ma la base è talmente comune da non avere più la necessità - e anche la possibilità - di essere nascosta.

Massimo Sartori con il suo team a Vicenza

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