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Parla il coach (e fidanzato) della top 100 tedesca: "Uno dei nostri obiettivi è la top 50, ma la cosa più importante è che si diverta in campo"
di Valentina Guido | 09 agosto 2020
La ripartenza del tennis mondiale è la Cappella Palatina di Palermo, è la terra rossa di Sicilia, è una rassicurante telecronaca su SuperTennis dopo mesi di silenzio. La ripartenza ufficiale del tennis internazionale è donna ed è un selfie di Laura Siegemund, giocatrice tedesca numero 65 WTA, best ranking di numero 27 nel 2016. Accanto a lei il suo coach e fidanzato Antonio Zucca, 28enne sardo di Porto Torres. E se non fosse per le mascherine e gli spalti semivuoti del Country Time Club palermitano, si potrebbe quasi pensare che non sia successo niente: fingere che Wimbledon abbia regolarmente assegnato i titoli del 2020 e che, ad agosto appena iniziato, sia partito il conto alla rovescia per gli Us Open. Lo Slam a stelle strisce è ufficialmente in calendario nonostante le tante defezioni e le notizie sui contagi da Coronavirus.
E pensare che mentre l’Italia (prima) e il resto dell’Europa (dopo) si chiudevano nelle abitazioni a doppia mandata, con i social saturi dell’hashtag #restiamoacasa, gli Stati Uniti tra marzo e maggio consentivano ancora alla popolazione di svolgere una vita quasi normale.
“Noi eravamo lì, a Melbourne in Florida, e abbiamo potuto continuare ad allenarci”. Parola di Antonio Zucca, che dopo la fine del cosiddetto lockdown, all’inizio di giugno, ha fatto ritorno nella propria Sardegna per rivedere familiari e congiunti e onorare gli impegni con gli allievi del Tc Porto Torres (di cui è tesserato), trovando anche il tempo di rilasciare quest’intervista. Allora si sapeva già che dopo i campionati italiani di Todi, l’Italia sarebbe stata protagonista, addirittura con il primo torneo WTA post Covid da 280 punti e 163mila euro di montepremi. Ancora però la partecipazione di Laura non era sicura, sebbene gli indizi ci fossero tutti: “La terra battuta è la sua superficie preferita e poi le manca troppo la competizione”, aveva detto Antonio Zucca.
In che modo vi siete allenati negli ultimi mesi e con quali obiettivi?
Laura sta cercando di giocare in modo più aggressivo accorciando gli scambi. Abbiamo lavorato molto sul dritto, che non è il suo colpo migliore, e sul servizio. Il lancio di palla era troppo alto e poteva creare problemi in alcuni momenti del match. I risultati stavano arrivando: la palla effettivamente è diventata più pesante, poi chiaramente bisogna vedere cosa succede in partita.
Come ha preso Laura questo blocco totale delle gare per l’emergenza sanitaria?
Male, non ci voleva. Stava giocando bene: 2° turno agli Australian Open, 4° turno in altri tre tornei, perdendo di misura contro giocatrici come Serena Williams, Karolina Pliskova e Ashleigh Barty. Rientrare nelle top 50 è uno dei nostri obiettivi, ma la cosa più importante è che si diverta sul campo. Se si diverte, il suo gioco funziona. Era molto motivata prima della pausa e adesso ancora di più, soprattutto perché si è visto che nel tennis femminile dalla numero 80 in giù chiunque può battere chiunque. E’ sempre carica a mille, si allena con attenzione maniacale ai dettagli. E’ una vera professionista.
Come giudicate la politica di aiuti della WTA alle giocatrici?
A mio parere, sarebbe stato opportuno sovvenzionare le giocatrici fino alla posizione numero 250, da lì in su dovrebbe pensarci l’Itf. Le perdite economiche sono state importanti: calcolando la cancellazione di Indian Wells, Miami e degli altri tornei, una giocatrice in questi mesi mediamente ha lasciato per strada 300mila euro. Tanti, considerate le spese per pagare fisioterapista, coach e via dicendo.
Federer, e non solo lui, ha ventilato l’ipotesi di unire ATP e WTA. Cosa ne pensi?
Sia io che Laura siamo d’accordo. Le tenniste dovrebbero guadagnare quanto i colleghi uomini perché fanno lo stesso lavoro. Certo, io sono coinvolto e interessato, ma vedo gli sforzi che molte mamme del circuito fanno per lavorare portando con sé i bambini. E’ vero che gli uomini negli Slam giocano più set e più ore, ma del resto hanno un fisico diverso. Aveva ragione Billie Jean King.
Dopo le nuove regole delle Next Gen Atp finals, è arrivato il tennis a tempo dell’Ultimate Tennis Showdown inventato da Mouratoglou. Ma il tennis ha davvero bisogno di tutto questo?
Io sono vecchio stile, le regole base devono rimanere: non mi piace il “no let”. Invece, apprezzo il challenge perché ormai la palla è talmente veloce, che l’occhio umano può sbagliare. Giusto anche l’”on court coaching”, cioè il coach in campo, che secondo me dovrebbe essere consentito a tutti - donne e uomini - ma non con telecamere, microfono e inglese obbligatorio. Potrebbe succedere che grazie alla tv l’avversaria venga informata e questo rischierebbe di falsare il risultato. E’ già successo.
Quali dovrebbero essere le doti di un buon coach e in cosa pensi di dover migliorare?
Un buon coach dovrebbe fare un passo indietro: la giocatrice sta in prima linea e si prende gli applausi, tu stai dietro le quinte, ti prendi le responsabilità e i musi lunghi. Questa è la più grande differenza rispetto a quando ero un giocatore, oltre al fatto che vivevo l’emozione della competizione in prima persona. In più, io sono anche il suo fidanzato, perciò sento di dover risolvere tanti altri problemi pratici in modo che lei non abbia pensieri. Bisogna far sì che il tennista, o la tennista, debba solo pensare a giocare. Cosa devo migliorare? Sono ancora giovane come coach e penso di dover imparare a essere più paziente e a comunicare meglio. Durante la pausa forzata abbiamo lavorato molto sulla comunicazione tra di noi ed è stato utile.
Ti manca il tennis giocato?
A volte sì, ma non tanto quanto avrei pensato all’inizio. Ricordo bei momenti sul campo in alcuni challenger e molti futures in Spagna, Egitto, Tunisia, Emirati Arabi, Dubai. Sul braccio ho tatuato la data in cui ho preso il mio primo punto ATP. Mi son tolto delle belle soddisfazioni quando ho scelto di giocare da professionista e mi sono allenato per alcuni periodi in Oman, Liguria, Toscana, Roma. Nel 2016 stavo giocando il mio miglior tennis, poi agli Internazionali d’Italia, dove giocavo le prequali, ho incontrato Laura e ho iniziato come sparring partner, quindi sono diventato il suo coach. Ho fatto la mia scelta e sto bene così.
Dove ti vedi tra qualche anno?
Abbiamo calcolato che durante la pandemia Laura, nel complesso, è stata lontana da casa sua per ben 113 giorni: alla lunga, avendo famiglia, è una cosa su cui riflettere. Ma per il momento sono contento di questa vita fatta di viaggi per il mondo, esperienze e incontri sempre diversi.
Chi è e cosa ama fare Antonio Zucca fuori dal campo?
Amo prendermi cura del mio bed & breakfast a Porto Torres da cui si vede il mare. E io adoro il mare, se potessi ci vivrei sempre accanto.