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Il campione romano si racconta, dagli inizi ai grandi successi nazionali ed internazionali
di Lorenzo Andreoli | 12 novembre 2020
I primi passi nel tennis, la scoperta del padel, le sfide presenti e i desideri per il futuro. Il campione europeo Michele Bruno si racconta a 360°.
Come stai e come vivi questo nuovo periodo di restrizioni"?
“Sapevamo già in anticipo che sarebbe stato inevitabile un nuovo periodo di restrizioni. Più di qualcuno, a giugno, ci aveva avvisato che pochi mesi più tardi saremmo incappati in una ricaduta e così è stato. Per nostra fortuna il settore del padel non è stato toccato molto. Com’è giusto che fosse sono state poste delle limitazioni ma siamo riusciti ad allenarci lo stesso e a portare avanti al meglio il nostro lavoro. Il fatto di non poterci spostare di regione in regione non mi consente, al momento, di svolgere tornei nazionali ma ciò che conta davvero è che le cose migliorino e che il virus si indebolisca sempre di più”.
Facciamo un salto indietro nel tempo. Hai iniziato con il tennis e da giovanissimo ti sei tolto diverse soddisfazioni come vincere il Lemon Bowl. Che ricordo hai di quegli anni?
“Ho cominciato a giocare a tennis all’età di sei anni. Fin dall’inizio le premesse erano buone e ad essere sincero anche i risultati non mancavano, sia a livello nazionale che internazionale. Vincere il mio primo Lemon Bowl a nove anni, nel 1999, fu un’emozione fortissima. In quel periodo mi allenavo al Circolo Magistrati della Corte dei Conti e mi seguivano Raoul Pietrangeli e Stefano Vannini. Ho giocato molto a livello under 12 e under 14, prendendo parte a tutti i raduni della FIT e creandomi amicizie che sono rimaste nel tempo. Qualche anno più tardi ecco il trasferimento al Forum da Claudio Pistolesi, dove ho avuto l’occasioni di allenarmi con professionisti del calibro di Simone Bolelli che allora era numero 23 del ranking ATP. L’unico rammarico che ho è quello di non aver sfruttato al massimo la preparazione per fare maggiori esperienze nel circuito”.
Il 2015 è l'anno della svolta per quanto riguarda il padel. Come ti sei avvicinato a questo sport e perché?
"Proprio così, il 2015 è l’anno della svolta. Negli anni precedenti, in qualità di maestro nazionale, avevo continuato ad insegnare al Circolo Magistrati della Corte dei Conti fino a quando alcuni amici mi lanciarono una sfida su un campo da padel. La presi davvero come un gioco, inizialmente ero molto scettico e non sapevo davvero come muovermi dentro quella gabbia. Pochi minuti più tardi, dopo appena una partita, ero già innamorato di questa nuova cosa. Ho sempre adorato il gioco di volo nel tennis, era impossibile non sentirmi a mio agio in un contesto così dinamico. Da quel momento in poi il divertimento ha iniziato a trasformarsi in passione, quindi in lavoro. Ero sbarcato ufficialmente sull’universo padel".
Cosa hai notato subito di diverso rispetto al tennis?
“La prima e forse più grande differenza che ho notato è che nel tennis, una volta che la palla ti ‘passa’, il punto è perso. Nel padel, invece, si ha la possibilità di sfruttare il colpo dell’avversario per crearsi sempre una nuova occasione. Nel tempo ho scoperto le potenzialità di diverse parti del campo, come ad esempio le grate, solo inizialmente un problema e oggi una grande risorsa”.
Con il padel ti affermi presto prima a livello nazionale poi internazionale. Quale tra le tante esperienze ti ha lasciato addosso qualcosa di speciale?
“Ho iniziato subito ad allenarmi con intensità e le soddisfazioni, per fortuna, sono arrivate presto. Dopo i primi successi è arrivata la chiamata della nazionale, uno dei momenti più intensi della mia carriera sino ad ora. Rappresentare i colori azzurri in competizioni come Mondiali ed Europei è qualcosa di impagabile. Il titolo europeo conquistato in casa lo scorso anno, davanti ai nostri tifosi, me lo porterò nel cuore per sempre. Il 2020 è stata senza dubbio una stagione particolare. Chiudere l’anno da Campione d’Italia, numero uno d’Italia e Campione d’Europa mi carica di stimoli per la stagione che verrà”.
Cambiate molte volte compagno di gioco. Quanto contano gli automatismi?
“Giusta osservazione, ci troviamo spesso a cambiare compagno. Nel circuito non sono rinomato per essere uno di quei giocatori che lo fa spesso, ma a volte è una necessità. Per quanto possibile cerco di mantenere il partner per almeno due o tre tornei consecutivi. Lo scorso anno ho giocato sempre con Luca Mezzetti, ora condivido il campo con Emanuele Fanti. Le dinamiche interne e gli automatismi sono fondamentali per affrontare al meglio le situazioni più complicate. È uno sport, il nostro, dove conoscersi bene è davvero in grado di fare la differenza. Una coppia nuovo, allo stesso tempo, è fondamentale per evadere quanto basta dalla routine”.
Obiettivi per il finale di stagione?
“Ora siamo in attesa di capire come si concluderà questo strano anno. Dovesse interrompersi qui vorrà dire che inizierò a lavorare duramente per preparare un grande 2021. Desideri? Giocare di più a livello internazionale. Troppe tappe sono state eliminate a causa della pandemia e abbiamo tutti una voglia matta di rifarci al più presto”.
Cosa consigli a chi si avvicina al padel per la prima volta?
“Scendere in campo e giocare perché con un uno sport del genere il divertimento è assicurato”.
Come ti vedi tra dieci anni?
“Ora voglio dedicarmi al professionismo, poi si vedrà. Non nascondo che mi piacerebbe gestire un centro sportivo ricco di campi da tennis e di campi da padel”.