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Il vercellese del Tc Parioli ha vinto l’Open torinese che dà l’accesso alle prequalificazioni degli Internazionali Bnl d’Italia. Una serie di infortuni tra 2018 e 2019 hanno complicato la sua ascesa, ma in mezzo a qualche rimpianto il tennis rimane ancora fonte di grandi stimoli
di Raffaele Viglione | 19 marzo 2022
Per una volta sono stati tutti profeti in patria. L’Open Bnl giocato sul campi del Monviso Sporting Club di Grugliasco – cui hanno partecipato oltre 800 tennisti col sogno di accedere alle prequalificazioni degli Internazionali Bnl d’Italia del prossimo maggio a Roma – ha visto tre piemontesi sollevare al cielo il trofeo.
Due insieme, giacché il titolo di doppio se lo sono aggiudicati il monregalese Andrea Turco e il torinese Alessandro Spadola, opposti in finale al torinese Stefano Reitano e all’ormai piemontese d’adozione Federico Maccari. Il terzo subalpino a festeggiare la vittoria è stato Pietro Rondoni, bravo a superare in due set Stefano Baldoni nella finale del tabellone di singolare.
Per il vercellese, classe 1993, l’approdo al Masters 1000 romano non è una novità di quest’anno e conferma il buon momento di forma del tennista tesserato per il Tennis Club Parioli. Rondoni partiva da favorito e ha mantenuto i pronostici, come aveva fatto anche ai campionati italiani di seconda categoria dello scorso anno a Cagliari (dove si aggiudicò il titolo pure in doppio, in coppia con Gianluca Acquaroli).
Attualmente intorno alla posizione numero 730 del ranking mondiale, e impegnato a livello internazionale soprattutto in tornei dell’Itf World Tennis Tour ( i vecchi Futures), il piemontese ha raggiunto la sua miglior classifica a fine 2018, arrivando alla posizione numero 354. Aveva 24 anni e sembrava pronto a fare il definitivo salto di livello, ma i mesi successivi hanno modificato l’orizzonte.
“Ero al top della classifica e della fiducia – spiega –, ma a fine 2018 ho scoperto di avere una pubalgia che mi ha obbligato a quattro mesi di stop. Al tempo ero numero 14 della classifica Itf e quasi sempre riuscivo a entrare nei tabelloni dei Challenger, mentre nei successivi 12 mesi ne ho giocati solamente cinque. Così, all’inizio dell’anno seguente mi sono trovato con tanti punti persi e una classifica più bassa, e mi sono un po' dovuto adattare. Tenendo in considerazione anche l’aspetto economico, ho svolto più attività nazionale”.
Fin da giovane Rondoni, un giocatore a cui piace metterla sul piano fisico e che non disdegna di chiudere il punto a rete, meglio se dopo aver costruito il gioco con il diritto, è stato un tennista sotto osservazione, perché le qualità tennistiche non gli hanno mai fatto difetto. Ma averle non basta per fare la differenza.
“Fin da piccolo, quando capisci che sei più portato degli altri bambini e che il tennis potrebbe diventare qualcosa di più di un passatempo – commenta Rondoni – devi affrontare il percorso nel modo giusto. Sono sempre stato uno con i piedi per terra: forse, in certi momenti della mia carriera, anche troppo. Un minimo di arroganza sportiva serve. In certi momenti ho creduto troppo poco in me stesso”.
“Per esempio – continua – mai avrei pensato che a soli tre mesi di distanza dall’operazione alla spalla avrei potuto vincere il mio primo torneo. Tornassi indietro, farei tante cose in maniera diversa. Da juniores, focalizzerei meno l’attenzione sul risultato e più sul miglioramento. Tra i giocatori della mia generazione ne ho visti tanti che da giovani non rientravano nemmeno nella rosa dei migliori della loro età e che poi sono esplosi. Penso a Cecchinato o a Caruso, che hanno saputo gestire diversamente la loro crescita. Quegli anni sono decisivi, perché più avanti nel tempo puoi fare degli aggiustamenti, ma non ripartire dalle fondamenta”.
Sul futuro, il vercellese del Tc Parioli aggiunge: “Dopo l’annata degli infortuni è arrivato il Covid che ha fermato me come tutti. Una volta ripartiti, inizi a vedere la scalata lontana, a maggior ragione se hai perso gli anni migliori della tua carriera, pero finché un giocatore ha voglia di girare il mondo e di mettersi in gioco c'è spazio per far tutto. Per me ha senso provarci sino a quando senti motivazioni forti e credi in quello che stai facendo. Il mio obiettivo è stare bene fisicamente e giocare più partite possibile. Vedremo quel che verrà”.
E una volta abbandonato l’agonismo di alto livello? “Non mi dispiacerebbe fare l’allenatore e seguire dei giovani che vogliano provare a diventare professionisti”, conclude. “Penso che potrei trasmettere loro la consapevolezza che ho acquisito in questi anni, aiutandoli a evitare di commettere quegli errori che conosce bene solo chi li ha vissuti sulla propria pelle”.