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L’importanza dello sport nella prevenzione dell’ictus ischemico è il tema trattato dal dottor Simone Comelli dell’ospedale Brotzu di Cagliari: “L’attività fisica è una carezza che può salvare la vita”
di Valentina Guido | 23 settembre 2020
L'attività fisica in generale aiuta a rimanere in salute. Si tratta di un assunto oramai talmente consolidato da non dover essere nemmeno dimostrato. Fa bene per la prevenzione e il controllo del diabete, dell’ipertensione arteriosa, delle malattie cardiovascolari e dell’ictus. E quando facciamo riferimento all’ictus, dobbiamo ricordare che questa malattia colpisce circa 15 milioni di persone ogni anno ed è la seconda causa di morte nel mondo e la prima causa di disabilità.
Il tennis è sicuramente una delle attività maggiormente protettive a lungo termine come tutti gli sport completi, in grado di coinvolgere l’intero organismo.
Forse, però, si conoscono poco le potenzialità del tennis nella riabilitazione post-ictus ischemico mediante l’uso dell’intelligenza artificiale e della telemedicina. Ne parliamo con il dottor Simone Comelli, dal 2018 Direttore della Struttura Complessa di Neuroradiologia e Radiologia Interventistica Vascolare nell’Azienda Ospedaliera Brotzu di Cagliari, a seguito di una lunga esperienza maturata presso l'Ospedale San Giovanni Bosco di Torino.
Per prima cosa, può spiegarci in modo semplice cosa è l’ictus ischemico e quali sono le cause?
Nell’ictus ischemico, il cervello o una sua parte non riceve una quantità di sangue sufficiente a garantire l'adeguata funzionalità delle cellule che lo compongono. Se è transitorio (tia), può provocare la perdita temporanea di alcune funzioni (vista, capacità motoria, eloquio). Diverso è quando l’ictus ischemico diventa permanente e i vasi cerebroafferenti, come le arterie carotidi, le arterie vertebrali e i vasi arteriosi intracranici maggiori (circolo del Willis), si chiudono per la presenza di trombi, cioè coaguli. Le cause principali possono essere aterosclerosi o problemi cardiologici (tipo aritmie) per cui il cuore pompa male il sangue che, ristagnando nelle sue camere, tende a formare veri e propri coaguli. Questi possono prendere varie direzioni, inclusi i vasi che portano sangue al cervello. Se il coagulo arriva in questa sede, parliamo di ictus cerebrale ischemico. A questo punto, due sono le strade terapeutiche: una conservativa da praticare entro massimo quattro ore e mezza (eventualmente estendibile a 6 ore nelle prossime Linee Guida), mediante somministrazione di un farmaco endovena che scioglie il trombo (trombolisi). Ma quando ciò non è possibile o sufficiente, si ricorre alla trombectomia meccanica, quella di nostra pertinenza. Si utilizzano cateteri particolari di calibro decrescente per navigare attraverso il sistema arterioso e arrivare nella sede dell'occlusione del vaso. Qui, un catetere dedicato rimuove il trombo aspirandolo, oppure si utilizza uno stent-triever (assimilabile a uno stent) che incarcera il trombo e lo rimuove dal vaso, liberando di nuovo la circolazione del sangue. Se nel 2017 al Brotzu sono stati eseguiti solo un numero limitato di interventi di questo tipo (circa 20), nel 2019 il numero è salito fino a 120 con un incremento del 1000 per mille. Questo è stato reso possibile grazie alla stretta e proficua collaborazione con il reparto di Neurologia e Stroke Unit diretto dal dottor Maurizio Melis.
A questo punto, dopo l’intervento, arriva la fase della riabilitazione. Cosa la rende problematica?
E’ una fase critica per la qualità di vita futura della persona colpita da ictus (stroke in inglese). Il cervello è plastico, e anche se le cellule non si rigenerano, quelle funzionanti adiacenti alla lesione possono assumere le funzioni delle cellule vicine. La continuità delle terapie riabilitative è in grado di fare la differenza nella riuscita di questo processo. Il problema attuale è rappresentato da spazi insufficienti rispetto alla quantità di pazienti che ne richiedono l'accesso. Noi, come ospedale specializzato in questo ambito, ci occupiamo anche di trovare le strutture più idonee per la riabilitazione dei pazienti, ma i posti non bastano. Potremmo essere vicini a una svolta: molte aziende, tra cui citerei l’azienda californiana Penumbra, che si occupa di ictus dal 2006 e ci fornisce anche i cateteri per la trombectomia, hanno intuito le potenzialità dell’intelligenza artificiale e stanno per portare sul mercato un nuovo software, ora al vaglio dell’FDA (U.S. Food and Drug Administration). Con una visiera di realtà virtuale e altri strumenti, il paziente può fare la riabilitazione a domicilio, con l’assistenza e il monitoraggio da parte di figure specializzate (anche da remoto), ma pur sempre in autonomia e a casa propria. Un ambiente protetto, confortevole, ben diverso da una camera di ospedale.
Un elemento ora ancora più importante, visti i recenti sviluppi della telemedicina dovuti all’emergenza sanitaria Covid-19: le cure domiciliari diventeranno sempre più strategiche per la tutela della salute (ndr).
Ha avuto modo di vedere personalmente come funziona questo software anche con il tennis?
Sì, e sono rimasto molto colpito. Grazie ad alcuni tools, il paziente può effettuare con l’arto sano il movimento che non riesce a fare con quello colpito – per esempio, cogliere una margherita - e dopo un po’, sfruttando quelli che vengono chiamati neuroni “specchio”, anche l’arto malato comincia a recuperare le funzionalità perdute. La simulazione su un campo da tennis è l’ideale da questo punto di vista, perché consente almeno in teoria di completare e perfezionare tutta l’articolarità del movimento. Gli scenari sono potenzialmente infiniti: il mare, il lago, la campagna…L’intenzione è quella di implementare questa terapia in Sardegna. Per chi è interessato, ci sarà la possibilità di approfondire i temi dell’innovazione tecnologica a supporto della gestione clinica nel prossimo Congresso Nazionale SNO (Società Italiana dei Neurologi, Neurochirurghi e Neuroradiologi Ospedalieri). Il congresso si sarebbe dovuto svolgere a Cagliari quest’anno ma naturalmente è stato rinviato a causa della pandemia e si terrà a maggio 2021.
Perché è così importante fare sport per prevenire l’ictus ischemico?
Il movimento consente di migliorare progressivamente le performance cardiache, riduce il grasso circolante, normalizza i livelli pressori, diminuisce lo stress ossidativo cellulare, migliora le prestazioni delle camere cardiache durante la massima attività, favorisce la liberazione di endorfine che sono un lenitivo naturale; protratta nel tempo, l’attività fisica allena il nostro organismo a rispondere agli stress (ovviamente, in assenza di patologie cardiache). Questo è vero soprattutto per sport complessi come il tennis che richiedono un impegno globale importante di tutti gli organi.
Il ruolo dell’infiammazione cellulare nell’innesco dei tumori è confermato da numerose ricerche, e sembra che un’attività continua e regolare negli anni possa incidere nella riduzione di questo tipo di rischio.
Sintetizzando, potrei dire che grazie allo sport possiamo prenderci cura di tutto il nostro organismo: l’attività fisica, effettuata con giudizio, è una vera e propria carezza che può salvare la vita.