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Il problema nascosto del padel (e la proposta di Sanyo)

Malgrado l’utilizzo esclusivo dell’erba sintetica (il regolamento permette anche altre superfici), nel circuito mondiale di padel le condizioni di gioco possono cambiare parecchio da torneo a torneo. Per i giocatori è un problema da risolvere. Come? Si potrebbe istituire una scala di rapidità, e poi utilizzarla per strutturare il calendario

di | 30 marzo 2023

Fra tennis e padel ci sono varie somiglianze, ma almeno altrettante differenze. È uguale la formula di punteggio, ma cambiano il campo e gli attrezzi, la tattica di gioco, le regole e tantissimi altri aspetti, anche nell’organizzazione del circuito mondiale. La crescita costante del padel sta permettendo al gioco di brillare sempre più di luce propria, tanto che ormai è visto come una realtà ben distante dallo sport un tempo parente, ed è un bene sia così. Ma per qualcuno, nella fattispecie il “mago” Sanyo Gutierrez, ex numero uno del mondo e punta di diamante di una famiglia di grandi padelisti, c’è ancora qualche aspetto che il padel potrebbe copiare dal tennis, legato alla distinzione fra le varie condizioni di gioco.

Nel tennis è chiarissima perché cambiano le superfici: la stagione dei grandi tornei parte sul cemento, poi si sposta sulla terra battuta, quindi sull’erba e di nuovo sul cemento, per finire con i tornei sul veloce al coperto. Nel padel, invece, malgrado il regolamento dell’International Padel Federation permetta di giocare sulla classica erba sintetica ma anche sul cemento e su superfici sintetiche (tipo quelle dei tornei indoor di tennis, per intenderci), il 99,9% dei campi in circolazione sono in erba sintetica e i tornei si giocano esclusivamente su quella.

Ma l’apparente uniformità non deve ingannare: non tutti i campi sono uguali e le condizioni cambiano spesso parecchio da una settimana all’altra, rendendo la vita difficile ai giocatori, specialmente oggi che il calendario internazionale è parecchio fitto e di tempo per adattarsi ce n’è spesso molto poco.

Sanyo, compagno della leggenda Fernando Belasteguin, ha sollevato la questione dopo il prematuro k.o. all’Open WPT di La Rioja, in Argentina. Lui e il compagno sono arrivati in Sudamerica dopo la finale nel Major di Doha del circuito Premier Padel: tre giorni dopo si sono trovati in campo a 13.000 chilometri abbondanti di distanza, al coperto e in condizioni velocissime (in Qatar si giocava outdoor su campi più lenti), contro due avversari – gli ottimi Bergamini/Ruiz – che avevano avuto tutto il tempo per adattarsi. Il risultato è stata una sconfitta piuttosto rapida.

“Non c’è stato un solo punto – ha detto l’argentino – che sia durato più di 25 secondi. Sono favorevole al cambio di condizioni fra i tornei, ma ci siamo dovuti adattare in mezz’ora a un tipo di gioco completamente diverso, contro avversari che invece avevano avuto quattro giorni di tempo. Sulla questione superfici servirebbe maggiore organizzazione, come avviene nel tennis, così da dare ai giocatori il tempo di adattarsi alle diverse condizioni”.

L’idea non è affatto male: in effetti, anche se (almeno all’apparenza) la superficie è sempre la stessa, da torneo a torneo le condizioni possono cambiare tantissimo, con un conseguente rimescolamento degli equilibri. Non è un male, ma come dice Sanyo la questione andrebbe strutturata meglio. La prova della fattibilità arriva appunto dal tennis: malgrado in quel caso ci sia un cambio effettivo fra le superfici (quindi ancora più difficile in termini di adattamento), il circuito è organizzato per fare in modo che nei diversi spicchi di stagione i giocatori possano trovare condizioni il più simili possibile di settimana in settimana.

Una possibile soluzione sarebbe quella di istituire una scala di rapidità – da 1 a 5, per esempio – delle condizioni di gioco dei vari tornei del circuito maggiore, che tenga conto dell’erba sintetica utilizzata ma anche del fondo (ciò che sta sotto al campo), dell’altitudine, delle palline e delle condizioni atmosferiche, che hanno effetti anche sull’attrezzatura dei giocatori, sulle pareti e tanto altro. Perché giocare sotto un sole cocente con 35 gradi è un conto, con 20 gradi e il cielo coperto è un’altra storia.

A quel punto, una volta certificata la rapidità delle condizioni dei vari tornei, l’obiettivo dovrebbe essere quello di fare in modo che in settimane consecutive le condizioni delle tappe proposte siano le più simili possibile, provando (quando si riesce) ad avvicinarle fra loro o strutturando il calendario in modo che un torneo dalle condizioni molto veloci non si trovi mai subito prima o subito dopo un altro evento nel quale invece la palla viaggia alla metà.

Stesso discorso per la (grande) differenza fra indoor e outdoor, troppo spesso trascurata. Basta guardare la recente tournèe sudamericana del World Padel Tour, che in tre settimane consecutive ha proposto un torneo indoor, poi uno outdoor e quindi di nuovo uno indoor. Per Arturo Coello e Agustin Tapia non è stato un problema, visto che hanno vinto sempre loro, ma la programmazione rimane discutibile. Visto che una migliore organizzazione della questione superfici non è affatto impossibile, per il circuito del futuro è un aspetto da considerare. Avrebbe effetti positivi sia per la programmazione dei giocatori (aspetto tanto dibattuto negli ultimi tempi) sia per la credibilità dell’intero prodotto.

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