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Le ultime cartucce di Juan Martin, in difesa della vecchia gaurdia

A quasi 48 anni, con la data del ritiro fissata per fine stagione, la leggenda Juan Martin Diaz prova ancora a togliersi qualche piccola soddisfazione, in un padel sempre più globale e veloce. “Vincere una partita oggi – dice – mi dà più soddisfazione rispetto a quando dieci anni fa conquistavo un torneo. Rispetto a un tempo c’è più quantità, ma non più qualità”

di | 19 settembre 2023

Chi capisce il padel si accorge in un amen che Juan Martin Diaz è diverso da tutti gli altri. Per ammirarlo non c’è bisogno di conoscere il suo curriculum che parla di 14 anni da numero uno del mondo insieme a Fernando Belasteguin, con oltre 150 titoli vinti e vari altri record. Basta osservarlo in campo e scoprire un modo di giocare unico, diverso da tutti gli altri. Uno stile che a fine anno andrà in pensione insieme a una delle carriere più lucenti nella storia del gioco, con la stima di tutti i colleghi che pesa come o di più di tante vittorie.

“Una delle cose che il padel mi lascerà per sempre – ha raccontato “El Galleguito” in una intervista col portale argentino Olè – è l’essermi sentito amato e rispettato, sia dai giovani che oggi dominano il circuito, sia dai giocatori che lo frequentavano un tempo, quando il giovane ero io. Con loro scherziamo sempre dal fatto che sono fra i pochissimi rimasti a difendere la vecchia guardia”. Coi 48 anni in arrivo a novembre, e problemi fisici costanti che hanno ridotto la sua percentuale di vittorie stagionali a una partita ogni tre, la leggenda argentina ha deciso di salutare la compagnia a fine anno, dopo 30 anni da professionista ai più alti livelli.

“Il padel – dice – è stato il mio lavoro, ma anche il mio hobby. Non importa essere stato numero uno e numero 20 del mondo, quello che conta è essersi divertiti lungo il percorso e io mi sono divertito moltissimo, raccogliendo ricordi che oggi posso condividere con tantissime persone. Con alcuni in campo ho litigato, altri magari non sempre li ho trattati benissimo, ma in fondo so che da parte di tutti c’è grande stima nei miei confronti. E la cosa è reciproca. Nulla conta più di questo”.

Con la data di scadenza ormai fissata, l’ultima parte della carriera di Juan Martin resta animata da piccole sfide. Come quella di giocare a fianco dell’altro veterano Miguel Lamperti: da quasi trent’anni fanno la stessa vita, frequentano gli stessi tornei, eppure non avevano mai diviso il campo. Al Major di Parigi, sui campi del Roland Garros, si sono tolti lo sfizio di superare il primo turno per poi giocare un buon match contro Navarro/Chingotto. Traguardi non banali a 91 anni in due. “Quel successo – ha detto Diaz – mi ha reso più felice di quanto non lo fossi dieci anni fa quando vincevo quasi ogni torneo. Vincevamo con una regolarità tale che aveva reso tutto normale, mentre ogni sconfitta era un disastro. Oggi, invece, ogni match vinto mi sa dare una soddisfazione diversa”.

Farlo al Roland Garros, poi, non può non avere un sapore speciale. “Per me – ha aggiunto – è un sogno vedere dove è arrivato il padel e avere la possibilità di giocare in un luogo iconico come il Roland Garros, una mecca dello sport di racchetta. Io sono tennista nell’anima, perché ho iniziato a giocare a padel in un club dove prima giocavo a tennis, e ho sempre adorato il Roland Garros. Avere la possibilità di giocare lì uno dei più importanti tornei di padel al mondo è stato qualcosa di unico”.

Un giocatore dell’enorme esperienza di Diaz, cresciuto in un padel diverso ma ancora fra i professionisti anche oggi che lo sport è cambiato radicalmente, è l’uomo giusto per fare il punto sulla sua evoluzione. “Rispetto alla mia epoca – dice – c’è sicuramente maggiore quantità, ma non so se abbiamo anche più qualità. I giocatori bravi ci sono sempre stati: oggi ci sono più professionisti perché i guadagni sono maggiori e quindi i padelisti possono dedicarsi solo ai tornei, mentre ai miei tempi molti dovevano insegnare e altri studiavano, altrimenti era impossibile andare avanti. Oggi certi giocatori fanno cose incredibili: penso a Tapia, che ha la magia di Messi. Da lui puoi aspettarti di tutto e sai che non di deluderà. Ma vale lo stesso per Lebron e anche per tanti altri”.

“Se nascendo oggi mi sarei adattato a questo stile di gioco? Penso di sì. Non posso dire se oggi il miglior Juan Martin Diaz sarebbe numero uno del mondo, numero dieci o cento. È difficile confrontare i tempi. Quanto facevamo all’epoca ci bastava per dominare il circuito, mentre forse oggi servirebbe di più. Però abbiamo Bela che a 44 anni è ancora nei primi 10, senza mai aver cambiato il suo modo di giocare. Credo che tutti coloro che in passato sono stati fra i migliori giocatori avrebbero classe a sufficienza per essere competitivi anche nel padel di oggi, pur giocando con il loro stile di sempre”. Parola di leggenda.

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