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Quando il tennis è un affare di famiglia: Matilde Ercoli sulle orme di papà Francesco e zio Simone

All'A.P.D. Palocco il tennis è un affare di famiglia. Francesco, Simone e la giovane Matilde Ercoli si raccontano

di | 15 novembre 2020

Matilde Ercoli

Matilde Ercoli

Sui campi dell’A.P.D. Palocco il tennis è un affare di famiglia. È infatti nel decimo municipio della capitale che sotto l’ala attenta di papà Francesco, Matilde Ercoli sta crescendo già con ottimi risultati; ed è nella stessa struttura che lavora anche lo zio Simone primo della famiglia ad approcciarsi alla disciplina: “Noi siamo nati a Firenze, ma abbiamo girato l’Italia per il lavoro di mio padre. Siamo stati diversi anni a Bari, in quel periodo pattinavo e cambiando struttura andai in una polisportiva dove provai il tennis e da quel momento mi innamorai di questo sport. Poi Francesco, più piccolo di me ha giocato di conseguenza però sono stato io il primo ad “ammalarmi””. Lo stesso ricorda Francesco che arricchisce però con ulteriori dettagli sul suo percorso giovanile: “Ho iniziato all’Angiulli seguendo le orme di mio fratello. Nella capitale poi siamo stati alla Virtus Roma, oltre che al Tre Fontane e a Riano dove fui convocato per allenarmi con il gruppo di Piatti in Federazione - il ricordo del percorso condiviso con il tecnico oltre che con quelli che poi furono ribattezzati come Piatti Boys - Ad essere onesto avevo il tennis per fare quello che Caratti, Mordegan, Brandi e Furlan hanno fatto, ma quando loro andarono alle Pleiadi, io persi un po’ il treno rimanendo a Roma”. L’ultima in ordine cronologico è per forza di cose Matilde che complice la professione di famiglia ha potuto però iniziare ben prima: “Ho giocato la prima volta verso i quattro anni. Ricordo di aver spesso disturbato papà con le palline (ride ndr), ma inizialmente non giocavo molto anche se poi vinsi da piccolissima il Lemon Bowl ed iniziarono ad arrivare le prime convocazioni e qualche sponsor - racconta la classe 2006 che poco tempo dopo ha iniziato a fare sul serio - Ad 11 anni ho iniziato a fare agonistica, ma solo verso 13 anni ho iniziato a giocare ogni giorno, anche se principalmente al pomeriggio dato che frequento regolarmente la scuola.  

Reduce dal successo in doppio ai Campionati Italiani Under 14, Matilde è seguita principalmente dal padre: “Si allena con me, ma quando Simone è in polisportiva e non viaggia capita che a rotazione giochi anche lui e con un gruppo di seconda categoria che stiamo seguendo - spiega Francesco entrando poi nelle dinamiche del doppio ruolo nel rapporto padre-figlia - Con i figli a volte non è facile perché c’è troppa confidenza, poi adesso ha 14 anni ed entra nel periodo dell’adolescenza dove i ragazzi credono di sapere tutto e sarà tosta, ma alla fine lei vuole stare con me e viceversa”. Della stessa idea è Matilde che aggiunge: “La nostra dinamica è bella e brutta allo stesso tempo. In campo dobbiamo essere in grado di prendere un po’ le distanze perché non è il massimo quando io lo tratto troppo come padre o viceversa lui come figlia. Poi capita che delle volte litighiamo in campo e a casa per un po’ non ci parliamo, ma dura sempre poco perché condividiamo troppe cose insieme”.

"Credo di essere una giocatrice completa a tutto campo. Vario molto il gioco, mi comporto bene sia da fondo che a rete. Adesso penso di aver fatto un ulteriore step sul piano fisico e se già prima me la giocavo con tutte, adesso penso che le cose possano andare solo meglio”. Questo l’identikit che Matilde fa di se stessa e sul quale padre e zio si mostrano concordi: “Lei è molto brava sia sul piano tecnico che a livello d’istinto, specialmente quando viene avanti. È aggressiva esattamente come mio fratello, ed è invece il mio opposto considerando che a rete non andavo neanche a stringere la mano all’avversario”. Ironizza Simone confermando le parole della nipote, ribadite poi da Francesco: “Agli Italiani Under ha fatto semifinale in singolo e ha vinto il doppio per il terzo anno di fila, come livello credo sia tra le prime in Italia nella sua fascia d’età. Può migliorare ancora molto perché ha un gioco particolare, lei infatti a differenza di altre può giocare in maniera più varia e completa, ma questo ogni tanto le crea confusione perché ha più opzioni. La sua identità però si sta formando quindi vedo del margine”. 

Simone e Francesco Ercoli

Parlando dell’attività internazionale invece Francesco si lascia andare ad un’interessante riflessione: “Quando ho avuto modo di viaggiare con Matilde ho notato la differenza che c’è tra le nostre ragazze e quelle di altri paesi. Mia figlia, così come Noemi Basiletti, Alessandra Teodosescu o Vitt fino a quest’anno hanno fatto una vita diciamo quasi normale. Mentre all’estero Brenda Fruhvirtova (classe 2007), piuttosto che alcune ragazzine seguite dai team di Mouratoglou, hanno già fatto una scelta di professionismo con quello che comporta anche a livello organizzativo ed economico - sottolinea Ercoli - Queste giocatrici giocano tantissimi tornei e studiano già privatamente, di fatto possiamo dire che fanno già le tenniste. Naturalmente sono tutte bravissime anche perché se no non seguirebbero questa strada. Però se dovessi fare un bilancio direi che a Matilde e alle altre italiane non manca nulla sul piano del gioco, anche se le altre stanno avanti come organizzazione e sono già disposte ora a dare tutto”.

Considerando la situazione internazionale legata alla pandemia, Matilde al momento non si pone altri obiettivi se non quelli legati alla crescita tramite l’allenamento. Per quanto riguarda Francesco e Simone invece resta fondamentale tutta la parte legata all’attività svolta sui campi dell’Associazione Sportiva Dilettantistica Palocco, in particolar modo quella con l’interessante gruppo di seconda categoria prima citato: “Mi sta piacendo molto lavorare con questi ragazzi, alcuni giovani, altri meno, ma al massimo ventenni. Si impegnano molto e giocano a tennis con entusiasmo - racconta con gioia Simone, in passato coach di Gaio e Bolelli che conclude facendo un paragone tra le due attività - Seguire e viaggiare con i professionisti è bello quando crei un’intesa vera, anche perché è fuori dal campo che si fa davvero la differenza. Se invece il rapporto è freddo e fare il coach diventa esclusivamente accompagnare il giocatore ai tornei, ti dico che preferisco di gran lunga fare quello che sto facendo adesso alla polisportiva con questi giovani”.  



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