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Il tennis di Piero, sempre al servizio

Pierangelo Zardoni è stato più di un componente degli uffici del Comitato regionale lombardo. A suo modo è stato un maestro. Di gare, tabelloni, regolamenti. Uno che sapeva spiegare tutto, con le buone maniere e col buonsenso. Per questo, lo ricorderemo sempre con affetto e gratitudine

di | 20 febbraio 2024

Eravamo in tanti a salutare Piero Zardoni nella Chiesa Parrocchiale di Bulciago, sulle prime colline brianzole, una manciata di chilometri da Lecco. Pensavamo che gli avrebbe fatto piacere vederci lì e anche che fosse giusto fargli subito chiaramente capire quanto ci mancherà.

La parte difficile infatti comincia adesso, quando si torna in ufficio. La mia porta sta proprio di fronte a quella che era la sua, sempre aperte entrambe: guardo e non lo vedo lì, in fondo all’ufficio, la diagonale del suo naso importante e affilato, inclinata verso il grande monitor del pc dove distillava i suoi gironi, i suoi campionati, eterno silenzioso maestro di gare a squadre e tabelloni.

Sì, eterno anche se non c’è più, perché un male carogna se l’è portato via in pochi mesi. Eterno perché è come se fosse sempre esistito: il Comitato regionale della FIT (prima) adesso FITP, non me lo ricordo mica senza “il Piero”.

Eterno anche perché chi se lo scorda più, il Piero. Io che in fondo lo conoscevo solo da collega dirimpettaio, uno che sta nell’ufficio vicino e nemmeno fa il tuo stesso mestiere (io a scrivere di racchette e palline, lui a interpretare regolamenti, disegnare calendari, incastrare partite una dentro l’altra come un gigantesco cubo di Rubik), pensavo spesso a lui con gratitudine perché, da esperto pescatore di lago e amante delle cose belle, mi aveva svelato l’esistenza di una spiaggetta deliziosa a meno di un’ora della metropoli. E ora quell’arenile che guarda Abbadia Lariana sarà come un pellegrinaggio.

Eterno perché portatore di un’umanità semplice e allo stesso tempo unica, per certi versi esemplare. Piero, impiegato semplice del Comitato Regionale e giudice arbitro (e docente dei corsi per Giudice arbitro), non aveva nessun titolo puntato (Dott. o Comm. o Cav. o Prof….) a precedere il suo nome sulla targhetta accanto alla porta, era quasi invisibile se non lo andavi a cercare di proposito, eppure era un grandissimo esperto di regole e regolamenti del tennis. Ne sapeva più lui di quelli che li scrivono, regole e regolamenti. Non a caso appena ne uscivano di nuovi si accorgeva immediatamente di che cosa non avrebbe funzionato nell’applicazione pratica. Con umiltà lo faceva presente. Se la sua segnalazione non sortiva effetti prendeva atto e si metteva al lavoro.

La presa d’atto non significava però la passiva accettazione del malfunzionamento: Piero si sentiva responsabile, dietro al suo monitor, delle migliaia di appassionati con racchetta il cui divertimento sportivo dipendeva da regole e regolamenti. E si faceva carico di raddrizzare anche le norme storte come banane. Non guardava l’orologio, consumava le ore (spessissimo portandosi il lavoro a casa) sforzandosi di umanizzare i meccanismi regolamentari in modo che le gare prendessero la forma che più assomiglia a quella delle persone. Un modo oscuro, invisibile di prendersi cura degli appassionati di tennis, uno per uno, in una regione che sforna più di mille (1.000!) tornei l’anno.

Chi non è un agonista magari certi aspetti della pratica tennistica fatica a percepirli. Ma chi gioca davvero sa benissimo quanto è importante che tornei e gare a squadre siano impostati e gestiti in modo “umano” e non solo fedele ai regolamenti. Del resto anche chi non gioca a tennis sa benissimo la differenza tra chi applica la legge alla lettera (sentendosi così sempre dalla parte della ragione) e chi la interpreta in profondità alla ricerca di una possibile giustizia.

Ecco, al Piero piaceva la giustizia. E le cose fatte bene. Quelle fatte male, senza cura, senza interpretare con intelligenza i regolamenti, senza empatia con le persone (in questo caso gli appassionati di tennis) lo facevano arrabbiare perché sapeva che era solo questione di metterci del proprio, di stare lì a spaccarsi la testa un po’ di più per trovare la soluzione che metteva insieme le esigenze del calendario, quelle del giudice arbitro e quelle dei giocatori. Lui faceva notte e quella soluzione la trovava. Si prendeva cura degli altri, del divertimento degli altri, della loro passione, anche se non li conosceva. E non avrebbero mai saputo della sua dedizione.

Così potremmo non essere solo noi, della porta di fronte, a sentire la sua mancanza. A meno che la sua difficile lezione non venga raccolta: una speranza che è anche un modo per ricordarlo e scacciare la tristezza per averlo visto andar via così presto.

Con un sospetto: non sarà che lassù, molto molto in alto, con questa improvvisa esplosione della passione tennistica a tutti i livelli, non abbiano pensato che uno Zardoni fosse praticamente indispensabile? Un San Pietro ce l’hanno da secoli e secoli ma ormai cancelli e portoni sanno un po’ tutti come si aprono e si chiudono. Ma con il traffico d’anime appassionate delle alte sfere, per gironi e tabelloni come fai senza San Piero? Lui sì che li fa da dio.

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