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Da Jannik a Cinà: l'esaltazione del Sistema Italia

Oggi la cosa straordinaria è che qualsiasi scuola può diventare un centro tecnico, perché la periferia è diventata il centro dell'Italia tennistica, per un sistema che va da Pinerolo a Trapani. “Il sistema nazionale - spiega Dell'Edera - è unico, con 13 mila insegnanti che lavorano spinti da un obiettivo comune"

30 gennaio 2024

Gli Australian Open 2024 hanno rappresentato un nuovo punto di svolta per il tennis italiano. L'ennesimo step di un percorso virtuoso cominciato tanti anni fa e che sembra non conoscere limiti. Tre ragazzi – Jannik Sinner, Simone Bolelli e Andrea Vavassori – con l'aggiunta di un giovanissimo Federico Cinà, hanno portato al nostro Paese un risultato complessivamente straordinario, ma che è la logica conseguenza di quanto FITP e Istituto Superiore di Formazione stanno costruendo. Niente miracoli, dunque, bensì un rapporto di causa-effetto che si va facendo sempre più evidente.

La vetrina non può che essere per lui, Jannik Sinner: l'uomo che è riuscito a sfatare un tabù lungo quasi 48 anni. “Sono due le parole che gli affiancherei – spiega il direttore dell'ISF Michelangelo Dell'Edera – ed entrambe sono state ben evidenti dal discorso post-vittoria. La prima è 'consapevolezza': sin da quando era piccolo, Jannik era perfettamente consapevole del suo percorso. Quando ce l'hai, questa dote, al di là delle attitudini finisci per accelerare il processo di crescita. Sinner ha scelto il tennis nonostante fosse anche un potenziale campione di sci. Il tennis – diceva – gli dava più opportunità, era meno legato alle situazioni imprevedibili. Il percorso di Jannik con la Federazione è cominciato presto: abbiamo referti che raccontano di quando ha giocato quella che allora si chiamava Pia Cup (Under 10), poi la Coppa delle Province, la Coppa delle Regioni, per ritrovarlo in Nazionale da Under 12, Under 14 e Under 16. A 13 anni era stato convocato al CTP di Vicenza, ma scelse di andare con Max Sartori a Bordighera, dove poi sarebbe rimasto ad allenarsi con Riccardo Piatti e Andrea Volpini fino al 2022. Ha lasciato casa e voleva a tutti i costi fare questo lavoro”.

Poi, ecco la seconda parola chiave: 'autonomia'. “Il lavoro che ha fatto Piatti fin dal principio è stato di renderlo autonomo: spesso Jannik è andato in giro per l'Italia da solo, sviluppando una dote che evidentemente già possedeva di natura, forgiata dai genitori, come ha ribadito lui stesso nello splendido discorso di Melbourne. Poi ha proseguito questo percorso con Volpini, che peraltro il tirocinio lo ha fatto proprio con Sinner. Sempre in modo consapevole, Jannik ha scelto in seguito di costruirsi un team che è un mix del sistema nazionale italiano (con un coach competente, passionale e straordinario come Simone Vagnozzi) e di quello internazionale (con Darren Cahill). A passione, umiltà, moderazione, tutte doti che che abbiamo evidenziato, vanno aggiunte dunque queste due: consapevolezza e autonomia”.

Singolo e doppio sono due sport diversi. Oggi anche gli sport individuali hanno la squadra attorno che conta eccome, ma poi in campo si va da soli. In doppio, invece, si enfatizza il concetto di team. “Arriviamo dunque – prosegue Dell'Edera – alla finale di Simone Bolelli e Andrea Vavassori: intanto, c'è da evidenziare la perseveranza e la passione che sistematicamente Simone mette dentro a questa professione. Un ragazzo moderato, umile, un modello per coloro che sono più giovani di lui, perché ha avuto una strada complicata, piena di infortuni e stop, di ripartenze e situazioni complesse. Ma lui è andato sempre oltre, con umiltà e passione straordinarie. Noi lo prendiamo ad esempio per i nostri corsi di formazioni, anche da un punto di vista tecnico, per la biomeccanica delle azioni che sono sostanzialmente perfette. Dobbiamo essere onorati che Simone, al di là di questa finale, sia ancora convocato in Davis: il suo contributo alla squadra, persino quando non gioca, è sempre importante”. 

Simone Bolelli e Andrea Vavassori all'Australian Open (Getty Images)

Vavassori va invece a rappresentare il sistema nazionale a tutti gli effetti, perché ha iniziato con suo papà, in casa, in una scuola tennis piccola piccola, e oggi si ritrova in finale di uno Slam. “Un percorso che rappresenta il nostro sistema, con una difficoltà ulteriore, perché Davide ha ricoperto un duplice ruolo, quello di allenatore e di padre: a volte in questi casi si rischia di perdere l'equilibrio, anche all'interno della famiglia. Invece la serenità con cui hanno affrontato il percorso ha portato Andrea a esprimere un tennis di alto livello, in doppio ma anche in singolare. Succederà con Vavassori quello che è accaduto a Roberta Vinci, che cresceva nella sua autostima grazie alla gara di coppia, tanto da portarla a giocare a grandi livelli in singolare. La finale di Slam in doppio regala emozioni ed esperienza, quella che si potrà utilizzare altrove. E con questo risultato in qualche modo vengono rappresentate le 1937 scuole tennis federali riconosciute, tutti potenziali centri tecnici”. 

Simone Bolelli e Andrea Vavassori all'Australian Open (Getty Images)

Oggi la cosa straordinaria è che qualsiasi scuola può diventare un centro tecnico, perché la periferia è diventata il centro dell'Italia tennistica, per un sistema che va da Pinerolo a Trapani. “Il sistema nazionale è unico, con 13 mila insegnanti che lavorano spinti da un obiettivo comune. Quello che noi spingiamo in modo importante oggi è il decentramento, che significa trovare un ambiente virtuoso a casa, a scuola, nel club, con staff di qualità. Per coltivare la crescita del tennista ma pure della persona. La scelta che ha fatto Davide Vavassori può dimostrare a tutti coloro che vorrebbero abbandonare la scuola che è invece possibile studiare e giocare. La FITP la pensa allo stesso modo, tanto che sta cercando i presupposti per far proseguire gli studi anche ai pro già affermati: grazie all'accordo con l'Università Pegaso, ci si può laureare in ogni parte del mondo, avendo l'opportunità di conseguire il titolo in Scienze Motorie come in altre discipline. Ciò che di recente ha fatto Gianluigi Quinzi. In questi casi, è sempre bello ricordare la frase più famosa dell'indimenticato Mario Belardinelli: 'su 100 individui, solo 10 diventano persone di valore, uno solo diventa giocatore di tennis'. Il nostro obiettivo deve dunque essere quello di costruire grandi persone, persone normali che studiano, si allenano, per andare oltre il limite e coltivare ambizioni”.

Federico Cinà (foto Getty Images)

Infine, i giovani. Perché un sistema che funziona non deve fermarsi ad ammirare se stesso, ma continuare a lavorare per il futuro. Spazio dunque agli Under 18 e a Federico Cinà, semifinalista in doppio a Melbourne: “Federico – chiude il direttore dell'ISF – è la dimostrazione che il sistema continua a produrre elementi di valore. Abbiamo un ragazzo che ha fatto semifinale in doppio, ma ce n'erano tanti altri presenti a Melbourne nei tabelloni Juniores. Il Sistema Italia dunque è presente non solo al vertice ma anche alla base, ciò che ci consente di guardare al futuro con fiducia. C'è una sistematicità nel produrre buoni giocatori. Tra maschi e femmine, a Melbourne abbiamo portato 25 giocatori con i rispettivi allenatori, un altro successo che vale tanto, in prospettiva. In passato, tanti anni fa, avevamo difficoltà a trovare qualche coach che potesse avere le competenze per accompagnare i giovani nei tornei, mentre oggi il movimento produce ragazzi e insegnanti di talento. La nostra 'mission' quando abbiamo dato vita all'ISF, era propria questa: cercare maestri di qualità, dare un'impronta culturale e sportiva. Oggi possiamo dire che il sistema funziona e che la strada immaginata era davvero quella corretta”.

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